28.4.09

La crisi e la CGIL (04/04/09)


Riportiamo qui sotto il volantino distribuito alla manifestazione della CGIL il 4 aprile


LA CRISI LA PAGHI IL SIGNOR PADRONE!

Non serve a nulla chiedere una “vera politica anticrisi”. Non si tratta di chiedere piu’ investimenti; di dare ancora piu’ soldi al capitale. Si tratta invece di difendere, con le unghie e con i denti, i nostri salari e le nostre vite.

C’E’ UNA UNICA STRADA: LOTTE DURE, DECISE E DURATURE,
CHE FACCIANO VERAMENTE MALE AI PADRONI!

ANDIAMO OLTRE LE MANIFESTAZIONI OGNI 3 MESI E GLI SCIOPERO SIMBOLICI!

UNIFICHIAMO OGNUNA DELLE NOSTRE SINGOLE VERTENZE
IN UNA LOTTA GENERALE, UNICA E TRASVERSALE
CONTRO CONFINDUSTRIA E GOVERNO.

CONFINDUSTRIA E GOVERNO STANNO SCARICANDO LA CRISI SULLE SPALLE DI NOI LAVORATORI. LE RICHIESTE DELLA DIREZIONE DELLA CGIL (NUOVA POLITICA DI INVESTIMENTI, SGRAVI FISCALI E QUALCHE SUSSIDIO) NON SONO ALTRO CHE LA RIPROPOSIZIONE DELLA STRATEGIA DI CONCERTAZIONE CHE CI PORTERA’ SOLO ALLA SCONFITTA.

PER DIFENDERCI DALLA CRISI C’E’ UNA UNICA STRADA:
1. AL POSTO DI MANIFESTAZIONI E SCIOPERI FATTI UNA VOLTA OGNI 3 MESI, DOBBIAMO COSTRUIRE LOTTE DURE, DECISE E DURATURE, CHE FACCIANO VERAMENTE MALE AI PADRONI!
2. UNIRE QUESTE LOTTE IN UNA VERTENZA GENERALE CONTRO CONFINDUSTRIA E CONTRO IL GOVERNO.


La crisi è sotto gli occhi di tutti. Il terremoto che sta scuotendo il sistema è così profondo che ormai tutti gli analisti lo paragonano alla crisi del 29.

In tutti i paesi a pagare il prezzo più alto siamo noi lavoratori e lavoratrici, quelli che per primi e più di tutti la crisi la sentono sulla propria pelle, in prima persona.

AL G20 DI LONDRA, i grandi del mondo sono veramente d’accordo su due cose soltanto. Scaricare il prezzo della crisi sulle spalle di noi lavoratori, e reprimere ogni opposizione, a cominciare dai manifestanti.
Infatti le principale potenze imperialiste di cui fa parte l’Italia non sono riusciti a mettersi d’accordo su un gran che. Tutti i paesi, tendenzialmente, provano a salvare quello che possono, cioè i propri interessi capitalistici, a scapito di quelli dei loro concorrenti, in una lotta al coltello per sopravvivere ognuno a scapito dell’altro.
Il primo punto di vero accordo che però hanno trovato è questo: tutti condividono in ultima istanza la strategia secondo la quale i costi della crisi vanno scaricati sul groppone del proletariato e delle classe subalterne: esubero, licenziamenti, congelamenti o addirittura abbassamenti salariali. come è avvenuto con i lavoratori del pubblico impiego in Irlanda, dove però questo ha portato a importanti mobilitazioni dei lavoratori contro il Governo. Mobilitazioni che si ripetono in questi giorni., La Grecia, dopo la rivolta dei mesi scorsi, è stata scossa nuovamente l’altro ieri da un potente sciopero generale; la Lettonia, dove in reazione alle misure antiproletarie, di lacrime e sangue, ci sono state manifestazioni di massa e duri scontri a Riga, la capitale, che hanno portato alla caduta del governo.
Il secondo punto di accordo trovato da lorsignori è questo:
Com’è già avvenuto in precedenza a Genova nel 2001 anche questa volta erano tutti d’accordo per dare pieno appoggio alla polizia del Governo di sinistra del laburista Gordon Brown, che ha represso spietatamente i giovani manifestanti no global, portando alla morte di uno di loro. A Strasburgo, in occasione delle prime manifestazioni contro il Summit della NATO è la polizia di Sarkozy a “raccogliere il testimone” inglese, arrestando 300 manifestanti. Da questo punto di vista, le ricette non sono cambiate: maggiore repressione contro chi manifesta contro questo sistema fatto di miseria e sfruttamento, ormai neanche più capace di offrire una occupazione ai membri di quella classe dal cui lavoro i padroni estraggono la propria ricchezza, ai lavoratori salariati, i quali, in pieno XXI secolo, sono ancora alla condizione di schiavi, la cui vita dipende da quanto sono utili ai profitti del padrone.

ITALIA: una situazione economica a rischio crack, che preoccupa i settori più lungimiranti della borghesia.
In Italia la situazione è pesante. È solo grazie alla complicità della stampa e alla insignificante opposizione fatta dal centro-sinistra che Berlusconi riesce a occultare dietro discorsi vuoti la profondità della crisi e la situazione catastrofica delle finanze italiane che preoccupano enormemente la borghesia europea. Gli analisti seri non escludono affatto un possibile collasso dell’economia italiana probabilmente innescato dai paesi dell’Est Europa, verso i quali le grandi banche italiane sono fortemente esposte: la rapina perpetrata dal capitale finanziario e industriale italiano sulla pelle dei lavoratori di quei paesi potrebbe ritorcersi contro banche e imprese nel caso in cui uno di quegli anelli deboli dell’Europa del capitale venisse a saltare; possibilità tutt'altro che remota considerando la catastrofe economica che li sta colpendo.

BERLUSCONI risponde alla crisi con una valanga di misure antioperaie preventive…
Il governo prova a metterci qualche pezza, regalando soldi alle imprese e alle banche; ma contemporaneamente accompagna l’ondata di licenziamenti nel privato e le ristrutturazioni del settore pubblico con l’adozione di misure antioperaie preventive in caso in cui le tensioni sociali dovessero acuirsi. Il decreto antisciopero o la xenofobia di Stato contro gli immigrati non hanno altro scopo che quello di indebolirci, seminando divisioni tra i lavoratori del settore pubblico e quelli del privato, tra quelli a tempo indeterminato e i precari, tra i pensionati e i giovani, tra gli occupati e i disoccupati, tra gli italiani e i lavoratori immigrati.
La scelta fatta dal governo è ormai chiara. Reprimere preventivamente ogni forma di dissenso. Lo hanno sperimentato già gli operai di Pomigliano, gli studenti della Sapienza o, per prendere l’esempio di un’altra lotta esemplare di questi anni, i lavoratori di ATESIA, il più grande call center d’Europa, che sono stati messi, oggi, sotto processo dalla DIGOS per uno sciopero fatto a giugno del 2006. [vedi retro]
Queste misure, peraltro, preannunciano il giro di vite che si vuole applicare alle lotte dei lavoratori.

LOTTARE SUL SERIO, si deve e si può. Prendiamo esempio dalle lotte più avanzate.
In Europa comincia a sentirsi l’eco di lotte dure e radicali: in Francia si moltiplicano gli esempi di manager e padroni sequestrati dagli operai; nelle colonie francesi delle Antille si vince una lotta grazie a quasi due mesi di sciopero.
Anche se il rapporto di forza da quasi trent’anni ormai è favorevole alla borghesia, i provvedimenti, presi spesso per decreto, del Governo, non vanno però scambiati per una onnipotenza del governo stesso. Queste misure denotano al contrario un forte nervosismo della classe padronale di fronte a quel che potrebbe succedere se scoppiassero lotte dure in Italia.
Il governo ha gli occhi rivolti a quel che succede in Europa. Sa benissimo che anche qua potrebbero accadere le stesse cose. Oltralpe, in una piccola fabbrica appaltata che produce telai nella periferia di Parigi, la STPM, gli operai con picchetti e con uno sciopero a oltranza sono riusciti a impedire i licenziamenti. In questi giorni, in multinazionali di ben altre dimensioni come la Sony, la 3M o la Caterpillar, gli impiegati non hanno esitato a sequestrare i quadri dirigenti per lottare contro gli esuberi. Il governo francese, almeno per ora, è stato costretto ad adottare un “profilo basso” di fronte a questi fenomeni di insubordinazione operaia duri come mai si erano visti negli ultimi vent’anni, poiché è uscito sconfitto dalle ultime grandi vertenze sociali che hanno scosso le sue
colonie delle Antille (Caraibi) tra fine gennaio e inizi marzo. In Guadalupa e in Martinica i lavoratori hanno ottenuto, tra altre cose, un aumento di 200 euro netti dopo uno sciopero durato ininterrottamente per 44 nell’un caso e per e 38 giorni nell’altro.

INCOMINCIAMO AD UNIFICARE E COORDINARE LE VERTENZE E PORRE IL PROBLEMA DEI METODI DI LOTTA
Contro il tentativo di Epifani di usare le mobilitazioni per riaprire tavoli di trattativa nei quali non c’è nulla da trattare, unificare e coordinare le vertenze e porre il problema dei metodi di lotta
Ovviamente non è solo Sarkozy a temere che si insidi nella testa dei lavoratori l’idea secondo la quale non si può ottenere nulla né per combattere gli effetti della crisi e senza lotte collettive, radicali e durature.
Anche qua in Italia negli ultimi mesi si sono mobilitati ampi settori di classe e la mobilitazione di oggi testimonia del malcontento diffuso che esiste nella nostra classe.
Purtroppo queste lotte coraggiose sono rimaste isolate e marginalizzate dalle direzioni sindacali e a volte, anche addirittura tradite.
Basta pensare al caso dell’Insee-Presse a Milano (metalmeccanici): per mesi gli operai metalmeccanici prima con picchetti e poi con l’occupazione della fabbrica e la sua messa in produzione sotto il controllo dei lavoratori hanno dimostrato come si poteva lottare contro i licenziamenti. Purtroppo, al momento dello sgombero a febbraio, erano quasi da soli di fronte ai cancelli.
All’Alitalia, le migliaia di lavoratori e lavoratrici che si sono rifiutati di accettare lo scellerato accordo CAI sono stati traditi dalla direzione nazionale della CGIL che alla fine dei conti, invece di trasformare la battaglia dei lavoratori di Fiumicino in una lotta esemplare contro il governo e i suoi amici investitori hanno firmato l’accordo, seppellendo la lotta.
Vi sono settori in cui è presente, da mesi e in vari gradi - una mobilitazione diffusa: pubblico impiego, scuola, università e ricerca, metalmeccanici, ecc. Ugualmente vi sono numerose lotte locali o aziendali esuberi e licenziamenti. Ma ognuna di queste lotte viene condotta separatamente, viene lasciata isolata. La responsabilità di questo ricade su quelle direzioni sindacali che si rifiutano, anche quando esistono le condizioni, di collegare tutte le lotte e dare loro una continuità.
A che può servire limitarsi solo agli scioperi ed alle mobilitazioni “una tantum”, ogni due mesi?
Ed anche: perché limitarsi solo ai referendum contro gli accordi ( come l’ultimo contro l’accordo separato)? I referendum vanno benissimo come punto di partenza per “lanciare” una lotta, ma è ovvio che da soli non possono respingere questi accordi e costringere il Governo al dietro front.
Limitarsi agli scioperi “una tantum” e ai referendum può effettivamente servire a Epifani che vuole tornare al tavolo delle trattative col Governo, ma di certo non serve gli interessi dei lavoratori. Anzi, alla lunga logora invece la combattività latente in vari settori (ad esempio nel Pubblico Impiego, dove, contro l’attacco micidiale del Governo non è stata proposta nessuna lotta reale delle 9 categorie) e quindi potrebbe portare, in assenza di uno sbocco verso una lotta generale e dei risultati concreti, ad una pericolosa demoralizzazione.

Non possiamo e non dobbiamo lasciarci trasportare, ogni 2 o 3 mesi, da una mobilitazione nazionale all’altra, mentre le vertenze di ogni categoria sono lasciate isolate (ben 9 sono i comparti in cui dividono gli statali con rinnovi contrattuali separati, invece di metterli tutti insieme in un unico fronte di lotta); mentre nelle vertenze locali, in ogni fabbrica, in ogni azienda, i lavoratori sono lasciati a combattere isolati di fronte al padrone.
Queste pseudo forme di protesta (non di lotta) vanno bene se si ha (come Epifani e la direzione nazionale della CGIL) come obiettivo quello di tornare ai tavoli, di riprendere il filo del dialogo col Governo. Un dialogo impossibile nelle attuali condizioni, al quale sia Marcegaglia che Berlusconi, Sacconi e Brunetta sono impermeabili.

Di fronte alla crisi attuale, ci vuole una risposta di ben altro respiro, una lotta le cui condizioni oggettive esistono oggi e non possono essere sacrificate sull’altare di una riproposizione della concertazione che, come quella degli accordi del ’93, ancora oggi riproposta come modello da seguire dalla direzione della CGIL, ci ha portato al disastro attuale.
Servono delle lotte coordinate e unificate in vista di una vertenza generalizzata contro Governo e padroni.
La responsabilità di fare o non fare queste cose, di indicare o non indicare questa strada da seguire, di unificare i milioni di lavoratori italiani in una lotta generalizzata e reale, ricade in particolare su quelle direzioni che, ovunque, sia all’interno della CGIL che al suo esterno, dicono di voler lottare per non farsi ancora una volta calpestare dal Governo.

Esigiamo ognuno di noi dal proprio sindacato, che ci si organizzi in maniera trasversale, al di là delle sigle sindacali, le categorie e le tipologie contrattuale, per costruire quelle vertenze dure e durature che fanno paura ai padroni. Incominciamo a fare questo organizzandoci noi stessi da soli e dal basso, insieme ad altri lavoratori, senza aspettare che ci qualcuno ci dia il
permesso.


CONTRO LA CRISI E CONTRO I GOVERNI DEI PADRONI C’E’ UNA UNICA SOLUZIONE : UNIFICARE LE SINGOLE VERTENZE IN UNA LOTTA GENERALE DI TUTTI I LAVORATORI. UNA LOTTA CHE, PER AVERE RISULTATI E RESPINGERE GLI ATTACCHI DI GOVERNO E PADRONATO, DEVE ESSERE PER FORZA DURA, DECISA E DURATURA

Roma, 04/04/09

Atesia, una lotta esemplare


LA LOTTA DI ATESIA E’ DI TUTTI, DIFENDIAMOLA!

Solidarietà incondizionata ai/lle compagni/e del Collettivo Precari Atesia di Roma

LE MINACCE NON CI FARANNO ABBASSARE LA TESTA!


Il 1 giugno 2006 Atesia, Roma, il più grande call center d’Italia; i lavoratori e le lavoratrici scioperano. E’ uno sciopero autorganizzato, uno dei tanti proclamati dal collettivo Precari-Atesia. Sul piazzale davanti l’azienda si tiene una assemblea, alla quale partecipano numerosissimi i lavoratori, e compagne e compagni di varie strutture, tra le quali una delegazione della Confederazione Cobas e una delegazione nazionale dello Slai Cobas (vari compagni, soprattutto da Napoli e da Milano).
Il 12 gennaio 2009 la Procura di Roma rinvia a giudizio 15 LAVORATORI presenti allo sciopero (quasi tutti, all’epoca dei fatti, interni ad Atesia) accusandoli di violenza privata, naturalmente PLURIAGGRAVATA [DA COSA? ... dal numero dei partecipanti,!] PERCHE’? “...per avere, in concorso tra loro, promosso, senza darne avviso al Questore, una manifestazione di circa centocinquanta persone appartenenti al collettivo Precari Atesia, Cobas Roma, Cobas Slai Campania, che con striscioni e bandiere si ponevano davanti all’ingresso principale della società Atesia S.p.a., sita in via Lamaro n. 25.”
· Atesia è stata una delle lotte di lavoratori politicamente più importanti degli ultimi anni in Italia, assieme a poche altre.
Come, ultimamente quella di Insse-Presse di Milano, quella dei lavoratori Alitalia, quella delle cooperative appaltate della DHL nel milanese. In tutti questi casi, con forme e a livelli diversi, si è dimostrato quale è la forza della classe quando comincia a mobilitarsi, come reagiscono i padroni, e chi sono e come si schierano, al di là delle chiacchiere, partiti e sindacati quando lavoratori e padroni si scontrano per davvero.
· Con vari anni di lotta, coinvolgendo in alcuni scioperi la stragrande maggioranza dei lavoratori del più grande call center d’Europa, il Collettivo PrecariAtesia ha ottenuto il riconoscimento del carattere subordinato del lavoro pestato, e il contratto a tempo indeterminato.
· Inoltre, in un settore fortemente frammentato, hanno contribuito a mettere sul tappeto con forza la questione della precarietà dal punto di vista dei lavoratori precari stessi e della lotta autorganizzata. · Il passaggio a tempo indeterminato non è sicuramente l’arma finale e decisiva del proletariato in lotta contro il padrone; come spesso accade, il padrone può “assorbire il colpo”. Come nel caso di Atesia e del gruppo Almaviva (strettamente legato al PD) – che dopo aver dovuto riconoscere il tempo indeterminato, ha costretto i lavoratori ad un orario part-time di 4 ore su turni. E’ una questione di rapporto di forza. I compagni però hanno dimostrato coi fatti quale può essere la forza dei lavoratori quando si mettono in mobilitazione.
· In questo senso, la denuncia della DIGOS e il successivo e ridicolo rinvio a giudizio è un chiaro avvertimento contro chi intende, in questo periodo, resistere all’offensiva borghese, acutizzata dalla crisi, con centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio. Un chiaro tentativo di criminalizzare ogni forma di protesta sociale, con risposte direttamente militari, com’è avvenuto nel caso della rivolta del CPT di Lampedusa, della repressione nei confronti degli studenti della Sapienza, o degli operai di Pomigliano. Questo processo ai protagonisti della lotta di Atesia va considerato nel contesto di attuale rafforzamento dell’offensiva anti-operaia e anti-sociale del padronato, che si esprime sia attraverso le campagne razziste e xenofobe, sia attraverso i provvedimenti sulla limitazione del diritto di sciopero, ecc.· E’ in questo senso che ci sembra importante appoggiare sia politicamente che finanziariamente i/le compagni/e del Collettivo Precari Atesia, anche considerando le spese legate al processo. Invitiamo perciò tutti i compagni/e, tutti i lavoratori/e, e tutte le organizzazioni (sociali, sindacali o politiche) che si riconoscono nella lotta per la difesa dei nostri diritti di lavoratori e delle lavoratrici ad impegnarsi su questo fronte.

Roma, 01/04/09

Cronologia della lotta antillana


Guadalupa, 44 giorni di sciopero a oltranza
38 giorni in Martinica
Breve cronologia dell’inverno caldo antillano


20/01. Inizio dello sciopero generale a oltranza lanciato dall’LKP in Guadalupa. 5.000 persone manifestano a Pointe-à-Pitre.

21/01. Lo sciopero si estende al settore turistico e alle scuole, licei e università.

24/01. Nuova manifestazione a Pointe-à-Pitre a cui partecipano tra le 8.000 e le 25.000 persone[1].

26/01. RFO-Gadalupa, radiotelevisione pubblica, interrompe parzialmente le sue trasmissioni per mancanza di personale. Gli scioperanti trasmetteranno però fino alla fine del conflitto immagini dello sciopero e delle negoziazioni tra LKP, governo e padronato.

28/01. Il Sottosegretario di Stato francese per l’Oltremare Yves Jégo propone di aprire le trattative una settimana dopo l’inizio dello sciopero. Nei supermercati si comincia già a sentire l’impatto della paralisi progressiva dell’isola.

29/01. Sciopero generale decretato dai sindacati francesi metropolitani. Anche nelle Antille si partecipa alla giornata di mobilitazione. Tra le 12.000 e le 35.000 persone scendono in piazza a Pointe-à-Pitre, un record per un’isola di poco più di 420.000 abitanti.

31/01. Provincia e Regione propongono un investimento di 54 milioni di euro per soddisfare le principali rivendicazioni degli scioperanti. LKP rifiuta e dice di proseguire con la lotta.

01/02. Jégo arriva in Guadalupa.

04/02. Jégo annuncia di aver ottenuto garanzie da parte della grande distribuzione per abbassare del 10% il prezzo di 100 prodotti di prima necessità. Prime negoziazioni tra LKP, governo e padronato a Basse-Terre. Il porto di Pointe-à-Pitre è completamente paralizzato.

05/02. Inizio dello sciopero in Martinica. Tra le 14.000 e le 20.000 persone manifestano a Fort-de-France. Nella sua comunicazione televisiva prevista dopo lo sciopero generale del 29/01 Sarkozy parla della situazione sociale nella Francia metropolitana ma non fa alcuna allusione a quel che sta accadendo nelle Antille.

08/02. In Guadalupa i lavoratori più combattivi e i militanti dell’LKP accompagnano una delegazione del Coordinamento a Basse-Terre, dove si tengono le trattative. Tutte le discussioni, malgrado l’opposizione del prefetto in un primo momento, saranno fatte a partire da uno stretto contatto tra le delegazioni dell’LKP e l’avanguardia mobilitata, che presiederanno tutte le discussioni anche fino a notte fonda. Un pre-accordo sugli aumenti salariali è siglato tra LKP e padronato sotto l’egida di Jégo, che annuncia il suo ritorno a Parigi per sottoporlo all’approvazione del governo.

In Martinica numerosi supermercati sono costretti a chiudere la saracinesca da picchetti di lavoratori. Comincia a sentirsi l’impatto dello sciopero.

09/02. Migliaia di persone manifestano in Martinica contro il carovita.

10/02. Il Premier francese Fillon annuncia che lo Stato non può sostituirsi alle parti sociali. Sconfessando Jégo, Fillon e Sarkozy puntano in un primo momento sul logoramento dello sciopero in Guadalupa. Il padronato ne approfitta per fare un passo indietro, rinnegando il valore del pre-accordo dell’8/02.

12/02. Sul canale televisivo locale Canal 10, in risposta ad alcune dichiarazioni da parte dei béké, che chiamano gli imprenditori a garantire autonomamente “la sicurezza delle loro imprese”, Elie Domota, portavoce dell’LKP e dirigente dell’UGTG, lancia un chiaro avvertimento: “Se volete la guerra civile [dice] e se bisogna andare verso un nuovo Maggio del ‘67, potete contare su di noi”.

13/02. Per guadagnare tempo, Sarkozy annuncia la costituzione di un Consiglio interministeriale per l’Oltremare.

14/02. Massiccia mobilitazione a Le Moule (Est della Guadalupa) per commemorare il massacro di San Valentino del 1952, quando la polizia sparò sulla folla per reprimere uno sciopero di operai della canna. È la prima volta da anni che tanta gente si mobilita per rendere omaggio ai martiri del ‘52. Abitualmente partecipa solo qualche decina di militanti e sindacalisti. In risposta all’arrivo dei rinforzi di polizia e gendarmeria “armati fino ai denti”, Domota dichiara durante il meeting che “lo Stato francese ha scelto di ripercorrere la sua strada naturale, che consiste nell'ammazzare i guadalupesi”.

Parallelamente, rappresentanti istituzionali antillesi di centro-destra e di centro-sinistra chiedono al Collettivo del 5 Febbraio e l’LKP di moderare il proprio appello a continuare la lotta per evitare che “l’impatto dello sciopero sia disastroso per l’economia” di entrambe le isole.

15/02. Di fronte al blocco delle trattative l’LKP decide di intensificare il movimento, chiamando alla costruzione di blocchi stradali in tutta l’isola.

16/02. Si moltiplicano i blocchi stradali e le barricate. Governo e questura chiedono che i celerini assicurino “la libertà di circolazione”. La gendarmeria e la polizia caricano i principali punti di blocco. L’ordine è quello di colpire i dirigenti dell’LKP. Alex Lollia, dirigente della CTU, racconta come i CRS lo abbiano picchiato durante il suo arresto, urlandogli “negro bastardo,sporco negro, ieri abbiamo visto la tua faccia in TV e adesso te la spaccheremo”. Di fronte alle violenze poliziesche e dopo aver sentito in televisione la testimonianza di Lollia, gli abitanti dei quartieri popolari e molti giovani vanno sulle barricate per appoggiare i militanti dell’LKP e gli scioperanti. Numerosi negozi e supermercati vengono saccheggiati dopo il tramonto.

17/02. L’aeroporto di Pointe-à-Pitre è paralizzato per mancanza di personale. L’isola è completamente isolata. Gli scontri proseguono per tutta la giornata e per tutta la notte. In alcune zone i manifestanti fanno uso di armi da fuoco contro la polizia. Il Presidente socialista della regione Victorin Lurel dichiara che “la Guadalupa è sull’orlo dell’insurrezione” e invita tutti alla responsabilità.

18/02. Seconda giornata di violenze in tutta l’isola. In circostanze poco chiare viene freddato da un colpo d’arma da fuoco il sindacalista della CGTG e militante dell’LKP Jacques Bino mentre tornava a casa dopo un meeting notturno del Coordinamento. Per l’LKP la responsabilità della sua morte ricade in ogni caso sul governo francese, fautore della situazione che ha portato alla morte di Bino.

Di fronte all’inasprimento del livello dello scontro, la ministra degli Interni Alliot-Marie annuncia l’invio di quattro squadroni di celerini per rinforzare i 2.000 gendarmi e poliziotti già presenti sull’isola. I pochi alberghi pieni dell’isola lo sono perché requisiti dal governo per alloggiare i CRS.

19/02. La situazione continua a essere molto tesa. Dopo aver scommesso sul logoramento dello sciopero e successivamente sulla repressione, il governo fa un passo indietro, constatando che la situazione in Guadalupa potrebbe degenerare completamente e sfociare in un’esplosione sociale generalizzata. Sarkozy, in una prima dichiarazione televisiva trasmessa su RFO, afferma di comprendere “le frustrazioni, le ferite, le sofferenze” delle popolazioni antillesi. Annuncia l’erogazione di un fondo speciale di oltre mezzo miliardo di euro per le Antille.

20/02. In Guadalupa l’LKP ordina di sgomberare i blocchi stradali. Gli squadroni di poliziotti bianchi venuti direttamente dalla Francia sono rimpiazzati da quelli composti da neri, i “neg a blan” in creolo secondo i manifestanti, un’espressione che definiva i servi neri più vicini ai padroni bianchi nelle piantagioni. Tuttavia alcune barricate restano in piedi, in particolare a Baie-Mahault, e la polizia non interviene. Fillon, facendo un passo indietro rispetto alle sue precedenti dichiarazioni, dice di sperare che i padroni “facciano delle proposte di aumenti salariali” per poter uscire dalla crisi.

21/02. Prima grande manifestazione di sostegno alle Antille convocata in Francia dalle forze di sinistra e dai sindacati, dopo più di un mese di sciopero a oltranza dall’altra parte dell’Atlantico. Manifestano 25.000 persone. Dopo lo sciopero generale del 29/01 la burocrazia sindacale francese ha passato il suo tempo negoziando con il governo, pur sapendo che non ci sarebbe stato nulla da discutere, senza neanche chiamare ad azioni di forza in solidarietà con le Antille per contrastare la repressione. È fondamentalmente grazie alla complicità indiretta delle burocrazie sindacali con il governo che Sarkozy è riuscito a separare dall’esplosiva agenda sociale francese la questione scottante dello sciopero generale in Guadalupa e Martinica.

22/02. Dopo i funerali di Jacques Bino riprendono le trattative in Guadalupa. Lo sciopero prosegue in entrambe le isole. Commentatori e giornalisti si dividono in due categorie tra loro complementari. C’è chi dice che il movimento è agli sgoccioli e che prima del Mercoledì delle ceneri si arriverà a un accordo. C’è chi invece comincia ad alimentare una campagna anti-LKP di chiaro stampo razzista, che fa eco alle pressioni delle lobby béké delle Antille.

24/02. In Martinica, la principale città dell’isola conosce una prima notte di sommosse, dopo che una folla di scioperanti ha forzato i cancelli della prefettura per esigere che le trattative vadano a buon fine e sia data soddisfazione alle rivendicazione del Collettivo del 5 febbraio. La polizia interviene e dai quartieri alti di Forte-de-France, quelli più poveri, scendono in centro numerosi gruppi di giovani che cominciano a scontrarsi con le forze di repressione.

26.02. Un accordo parziale sugli aumenti salariali è firmato in Guadalupa tra l’LKP e una parte del padronato. Prevede un aumento di 200 euro per i salari più bassi compresi tra 1 e 1,4 salario minimo garantito (SMIC), e dal 6 al 3% oltre. I grandi imprenditori béké si rifiutano però di firmare. Lo sciopero continua.

Seconda notte di scontri violenti a Fort-de-France.

27/02. Il prefetto della Martinica dichiara indirettamente il coprifuoco, annunciando inoltre che “le forze dell’ordine sono entrate in una fase dinamica” per intimorire i giovanissimi che hanno partecipato agli scontri il giorno precedente.

28/02. Le trattative proseguono in entrambe le isole. A Parigi viene convocata una nuova manifestazione, alla quale tuttavia partecipano meno persone rispetto alla settimana precedente. Secondo sondaggi pubblicati sulla stampa, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica metropolitana appoggia però le ragioni dello sciopero nelle Antille.

01/03. Nonostante non sia stato siglato il “protocollo di fine conflitto” in Guadalupa richiesto dall’LKP per la ripresa del lavoro, il prefetto chiama la fine dello sciopero. Per l’LKP si tratta di un non-senso. Il movimento prosegue mentre i grandi imprenditori (Medef) continuano a non voler firmare l’accordo salariale. Questa volta è la stessa Alliot-Marie a chiedere agli imprenditori di assumere “un atteggiamento responsabile” rispetto alle trattative salariali.

02/03. Centinaia di militanti dell’LKP insieme ai lavoratori in sciopero marciano sul centro commerciale di Baie-Mahault (Nord dell’isola). Charlie Lendo, segretario aggiunto dell’UGTG, dichiara che l’obiettivo è quello di “costringere i proprietari a firmare l’accordo [salariale]”. Max Céleste, di Combat Ouvrier e membro dell’LKP, afferma che se i padroni “non firmano oggi, i lavoratori si faranno carico di farglielo firmare, con le buone o con le cattive”.

In risposta alle dichiarazioni di Allio-Marie, Willy Angèle, dirigente del Medef guadalupese, dichiara che le imprese non potranno assumere i costi dell’aumento salariale e denuncia “i metodi autoritari” dell’LKP, responsabile di uno sciopero che porterà [secondo lui] al crollo dell’economia isolana. Il prefetto, dal canto suo, rinnova il suo appello alla cessazione dello sciopero in Guadalupa.

03/03. Testimoniando le crepe interne al fronte padronale ma anche i dissensi tra Medef francese e governo (solo due settimane prima del secondo sciopero generale in Francia convocato per il 19/02), Laurence Parisot, presidentessa del Medef, suggerisce che Angèle dovrebbe firmare gli accordi salariali. Denuncia allo stesso tempo il ruolo “compiacente” dello Stato che non “ha fatto il suo lavoro di arbitro”. Rispetto all’LKP, dichiara che si tratta di «un'organizzazione della sinistra antagonista molto politicizzata, che ha fatto ricorso all'arma delle pressioni senza problemi», a differenza dei «sindacati della Francia metropolitana, altrimenti costruttivi e responsabili».

In Martinica, dopo 26 giorni di sciopero a oltranza, si arriva a un accordo tra le parti sociali. Il capitolo strettamente salariale si basa sul modello di quanto è stato firmato il 26/02 in Guadalupa tra LKP, governo e parte del padronato. Tuttavia, considerando che una serie di questioni non sono state ancora risolte, il Collettivo del 5 Febbraio non chiama alla ripresa del lavoro.

05/03. In Guadalupa viene firmato il protocollo di fine conflitto che conta ben 165 articoli e fa il punto sulle 146 rivendicazioni difese dal 20 gennaio dall’LKP. A questo protocollo viene aggiunto «l’accordo salariale Jacques Bino», che prevede un aumento di 200 euro per i salari più bassi (e aumenti del 6 o 3% per gli altri). All’interno del Medef alcune categorie firmano l’accordo, malgrado l’opposizione di Angèle. Nelle grandi imprese non firmatarie riprendono o proseguono gli scioperi per fare applicare l’aumento.

Nell’isola della Riunione (colonia francese dell’Oceano indiano) comincia lo sciopero generale contro il carovita e per aumenti salariali.

06/03. In Martinica violenti scontri coinvolgono padroni e latifondisti che manifestano con TIR e trattori quando passano di fronte alla sede del Collettivo 5 Febbraio, che non ha ancora chiamato alla fine dello sciopero.

07/03. Risponde il Collettivo del 5 Febbraio con una massiccia mobilitazione in tutta l’isola per rispondere alle provocazioni del giorno anteriore. Prosegue lo sciopero.

In Guadalupa sfilano 20.000 manifestanti in solidarietà con Martinica e per l’applicazione degli accordi firmati.

08/03. Fort-de-France. Manifestazione particolarmente riuscita in occasione della Giornata internazionale della donna convocata dall’UFM (Unione delle Donne della Martinica).

14/03. Dopo 38 giorni di sciopero a oltranza, si firma tra le parti sociali e il governo il protocollo di fine conflitto come richiesto dal Collettivo del 5 Febbraio.


[1] I dati riguardo alle manifestazioni che comunichiamo provengono dalla questura e dall’LKP o dal Collettivo del 5 Febbraio.

La Guadalupa in piazza (01/03/09)


La Guadalupa in piazza contro Parigi


di Immanuel Wallerstein

La Guadalupa è una piccola isola dei Caraibi, grande quanto la grande Londra. Ha una popolazione di circa 400.000 persone. La stampa mondiale non la nomina quasi mai. Dal 20 gennaio è teatro di uno sciopero generale che è riuscito a far scendere in strada a manifestare il 10% effettivo della popolazione, il che deve essere un record mondiale. Lo sciopero è stato indetto dal Liyannaj Kont Profitasyon (LKP), il cui nome in creolo significa “Collettivo contro la 'profittizzazione'” o “Alleanza contro lo sfruttamento”.
L'LKP è un collettivo di sindacati, partiti politici e associazioni culturali, che rappresentano più o meno l'intera società civile. La leadership viene esercitata dalla UGTG, un sindacato indipendentista locale che nelle ultime elezioni sindacali ha ottenuto la maggioranza dei voti (in un sistema ufficiale francese chiamato élections prud'hommales).
L'LKP ha pubblicato un elenco di più di 100 richieste rivolte a quattro interlocutori, lo Stato francese (il governo nazionale, la regione e il dipartimento) più i datori di lavoro. La maggior parte di queste richieste riguarda questioni economiche ma, come ha detto il ministro dei Dipartimenti francesi d'oltremare Yves Jego, al di là di queste richieste economiche c'è una crisi “della società”. Questo è un modo diplomatico per dire che lo sciopero non chiede solo mezzi di sussistenza. È anche un movimento profondamente anti-coloniale. Ed è questa combinazione che rende ciò che sta accadendo in questa piccola e oscura parte del mondo una chiave della crisi mondiale in cui noi tutti ci troviamo.
La Guadalupa potrà essere oscura oggi ma dopo il 1493, quando Colombo ci mise piede per la prima volta, fu un luogo importante dell'economia-mondo. Nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo divenne uno dei centri principali della produzione mondiale dello zucchero, una delle più apprezzate fonti di ricchezza della Francia con Haiti. Naturalmente le piantagioni di zucchero usavano come forza lavoro schiavi importati dall'Africa, poiché la popolazione indigena era stata spazzata via.
Nel 1763, quando Francia e Gran Bretagna stavano negoziando il trattato di Parigi che pose termine alla Guerra dei sette anni, una delle questioni più importanti riguardava il destino del Canada francese e della Guadalupa. I britannici li avevano strappati entrambi ai francesi durante la guerra ma, secondo gli accordi, la Francia avrebbe potuto conservarne solo uno a sua discrezione. All'epoca entrambi i paesi consideravano la piccola Guadalupa una preda ambita, una grande fonte di ricchezza mondiale. Il Canada, al contrario subiva lo scherno di Voltaire che lo aveva definito “quelques arpents de neige” (qualche ettaro di neve).
Fu appunto perché la Guadalupa era tanto preziosa che la Gran Bretagna decise di tenersi il Canada: i piantatori di zucchero delle Indie Occidentali britanniche non ne volevano la concorrenza. Inoltre il governo britannico voleva fare economia sui soldati in Canada, cosa che riteneva di poter fare se i francesi non avessero più avuto un punto d'appoggio in loco.
La Rivoluzione francese portò agitazioni nei possedimenti francesi nei Caraibi, in particolare ad Haiti e nella Guadalupa. In entrambi i territori vi furono sollevazioni di schiavi. In entrambi i territori i proprietari francesi delle piantagioni si fecero prendere dal panico soprattutto quando nel 1794 la Francia abolì la schiavitù. I proprietari delle piantagioni si rivolsero ai britannici per salvarsi. In entrambi i territori i francesi cacciarono i britannici, schiacciarono le ribellioni e, nel frattempo, reintrodussero la schiavitù. A differenza di Haiti, tuttavia, la Guadalupa rimase una colonia francese. Tutto continuò come al solito.
Poi vennero il 1848 e un'altra rivoluzione in Francia. E un'altra fine della schiavitù, della quale il grande protagonista fu Victor Schoelcher, un ministro del governo provvisorio. Come Lincoln negli Stati Uniti, nel 1863 Schoelcher abolì la schiavitù per decreto, poiché sapeva che non sarebbe riuscito a ottenere un voto in parlamento. Questa volta però l'abolizione giuridica della schiavitù non fu abrogata, anche se il governo provvisorio in cui Schoelcher era ministro venne sostituito da un governo molto più conservatore.
Nella Guadalupa (come altrove) la schiavitù fu messa fuori legge ma per quasi un secolo nell'economia cambiò pochissimo. Le piantagioni producevano ancora zucchero, i proprietari bianchi intascavano ancora i profitti e gli ex schiavi erano pagati ancora pochissimo. A peggiorare le cose, la loro paga miserabile era diventata troppo costosa per i proprietari delle piantagioni, e furono così parzialmente sostituiti da nuova forza lavoro importata dall'Asia. La disoccupazione divenne dilagante e tale è rimasta fino a oggi.
Dopo il 1945, sulla scia dei movimenti anti-coloniali, il governo francese incorporò la Guadalupa come dipartimento d'oltremare, si suppone pari a ogni altro dipartimento metropolitano. Ma economicamente fu più che mai dipendente dalla generosità di Parigi. Lo zucchero aveva esaurito il suolo e la nuova base dell'economia divenne l'attività turistica. La popolazione della Guadalupa viveva in un contesto economico in cui gli stipendi erano molto più bassi degli standard metropolitani francesi ma il costo della vita era molto più alto, a causa del controllo delle importazioni e delle esportazioni da parte di pochi quasi-monopoli di proprietà di bianchi.
È questo che ha causato la doppia esplosione, contro la “profittizzazione”, lo sfruttamento, e contro quella che è ancora percepita come una schiavitù de facto. Cosa vuole il popolo della Guadalupa? La richiesta che è in cima alla lista è altri 200 euro al mese per chi riceve il salario minimo e per i pensionati. Data la forza dello sciopero sembra che i 200 euro si potrebbero ottenere, malgrado la feroce opposizione dei grandi datori di lavoro. A loro si chiede di contribuire con 50 dei 200 euro, e ne hanno offerti 10. Probabilmente il governo francese costringerà i datori di lavoro ad aderire a questa richiesta, anche se probabilmente a non tutto il resto del lungo elenco.
E la crisi “della società”? Un modo storico per perseguire la ricerca anti-coloniale della dignità è stato chiedere l'indipendenza formale. Nella Guadalupa i movimenti popolari sono stati reticenti su questa richiesta. Hanno visto il limitato potere reale degli stati indipendenti nel mondo e soprattutto di tutti quelli vicini. Il destino di Haiti non è attraente. Ma vogliono una profonda trasformazione sociale, la fine del potere sociale ed economico della piccola minoranza bianca, una forma pratica di parità.
Se si collegano le richieste economiche a quelle “sociali” nel mezzo di un disastro economico mondiale, si avvia una forte tromba d'aria; una tromba d'aria che un po' di nazionalizzazioni bancarie in qualche paese ricco non farà nulla per fermare. Finora gli abitanti della Guadalupa (e di altri luoghi) sono stati relativamente pacifici nelle loro proteste. Ma le trombe d'aria hanno l'abitudine di diventare molto più gravi.

1 marzo 2009

Intervista a JM Nomertin (13/03/09)


«Quella che ha avuto luogo in Guadalupa, durante le ultime settimane, è una battaglia che ha preso la forma di uno sciopero generale e che tutti i proletari del mondo possono recuperare!»


Intervista a Jean-Marie Nomertin, operaio dell’industria bananiera, segretario generale della Confédération Générale des Travailleurs de Guadeloupe (CGTG, Confederazione generale dei lavoratori della Guadalupa), portavoce del Lyannaj Kont Pwofitasyon (LKP, Alleanza contro lo sfruttamento), dirigente di Combat Ouvrier[1]. Realizzata il 13 marzo 2009.

Qual è stato il grado di partecipazione dei lavoratori e dei giovani guadalupesi a questa vostra battaglia?

Lo sciopero generale è stato lanciato il 20 gennaio 2009. Molto rapidamente, tutti i settori chiave dell’economia sono stati bloccati, anche con l’ausilio di picchetti alle entrate degli stabilimenti. Possiamo affermare con certezza che la partecipazione dei lavoratori allo sciopero generale è stata superiore all’80%. Per fare solo qualche esempio: i trasporti pubblici avevano smesso di funzionare, tutta la grande distribuzione ha dovuto chiudere, analogamente a tutte le zone industriali e commerciali, alle scuole, ai licei e alle facoltà universitarie, alle banche, alle Poste e Telecomunicazioni, alle società assicurative, ecc.
Tuttavia, va rilevata una particolarità di questo sciopero generale. Nonostante l’EDF (la società produttrice di elettricità) e la rete di distribuzione idrica fossero paralizzate dallo sciopero, la tattica adottata dal Lyannaj Kont Pwofitasyon (LKP, Alleanza contro lo sfruttamento) e, in particolare, dai sindacati che ne facevano parte è riuscita ad evitare che l’acqua e l’elettricità venissero tagliate, in modo da non penalizzare la popolazione. In maniera simile, nonostante la grande distribuzione commerciale fosse stata bloccata, la rete dei piccoli e medi distributori è stata messa in condizioni di funzionare nel campo dell’alimentazione; anche in quel caso, con l’obiettivo di evitare problemi supplementari che avrebbero pesato sulla direzione dello sciopero, l’LKP. Ancora, analogamente, per tutta la durata dello sciopero la distribuzione del carburante è rimasta sotto il controllo degli scioperanti, che ne chiudevano o riaprivano il flusso in funzione delle necessità del movimento.
Questo per dire quanto la partecipazione dei lavoratori a questo sciopero generale sia stata imponente. I giovani, che rappresentano circa la metà della massa dei disoccupati, si sono uniti in maniera massiccia al movimento. A seconda dei giorni, si sono viste manifestazioni con un numero di partecipanti che oscillava fra le 10.000 e le 40.000 persone, cifre enormi, se si tiene conto che l’isola conta in tutto 450.000 abitanti.
L’altro aspetto connesso alla partecipazione dei giovani ha riguardato il fondamentale contributo d’azione che essi hanno dato quando l’LKP ha deciso di bloccare completamente il paese chiamando la popolazione ad erigere barricate su tutti gli assi stradali. A quel punto, i giovani hanno dato prova di una tenacia e di una combattività esemplari di fronte alle forze della repressione che tentavano di smantellare le barricate. Va inoltre rilevato come, col passare dei giorni, le manifestazioni di piazza si siano fatte via via più numerose grazie alla partecipazione di migliaia di donne desiderose di unirsi al movimento.
Questo movimento, che aveva preso inizialmente la forma di uno sciopero generale dei salariati, si è trasformato col passare dei giorni in un immenso movimento popolare, che ha raccolto strada facendo tutti gli strati più poveri, i disoccupati, i pensionati, gli handicappati, gli emarginati della società. Hanno fatto la loro comparsa non solo rivendicazioni salariali classiche, 200 euro di aumento per tutti i bassi salari (cioè per la maggioranza dei salariati), ma anche rivendicazioni riguardanti l’abbassamento dei prezzi, il rispetto della dignità del popolo guadalupese e l’ostilità verso la minoranza bianca, i «béké», costituita da una manciata di discendenti dei proprietari di piantagione schiavisti, che possiede la gran parte dei mezzi di produzione della Guadalupa e della vicina Martinica.
I manifestanti non si stancavano mai di gridare che «la Guadalupa ci appartiene, e che non appartiene invece agli sfruttatori, e che questi non potranno più continuare a fare ciò che vogliono nel nostro paese».
È un chiaro segno della potenza dell’azione di classe dei lavoratori quello di aver potuto costituire l’ossatura e l’avanguardia di un grande movimento sociale che ha scosso realmente la Guadalupa e che, in seguito, si è esteso alla vicina Martinica.

È la prima volta che un movimento di tale portata prende corpo in Guadalupa?

In passato, abbiamo avuto importanti scioperi generali e potenti movimenti sociali, per esempio nel 1971 (scioperi dello zucchero e della canna, scioperi del settore edilizio, ecc.) e nel 1985, per protestare contro un’ingiustizia di tipo coloniale (il caso Faisans[2]), quando i manifestanti hanno occupato per una settimana la principale città della Guadalupa, erigendo barricate in corrispondenza di tutte le vie di accesso a Pointe-à-Pitre.
Abbiamo conosciuto anche il grande sciopero dei lavoratori delle piantagioni di banane, guidato dalla CGTG, nel 1998 (al quale ho preso parte come responsabile del sindacato dell’industria bananiera), uno sciopero che ha consentito ai lavoratori del settore di strappare una mensilità di salario supplementare alla fine dell’anno e il pagamento per i giorni di sciopero.
Ma il movimento del gennaio 2009 è stato il primo che è riuscito a far sì che risalissero in superficie e si riversassero nelle strade tutti gli strati più poveri della popolazione, sintomo evidente di una rabbia e di una situazione economica sempre meno sopportabile per le masse povere e lavoratrici.
Il potere e la classe possidente capitalista sono sembrati completamente isolati e non hanno trovato molte persone disposte a sostenerli e a giustificarne le azioni. L’esperienza che le masse guadalupesi hanno vissuto lascerà tracce profonde, poiché esse hanno preso coscienza delle proprie capacità, hanno preso coscienza del fatto che lo sciopero di massa rappresenta un potere incomparabile, dinanzi al quale ogni ostacolo è destinato a crollare.
Infatti, dopo l’ottenimento dell’accordo che ha aumentato di 200 euro i salari situati fra l’1 SMIC (salario minimo fissato dal governo) e l’1,4 SMIC, accordo che è stato firmato inizialmente solo da una parte del padronato, per lo più dal piccolo e medio padronato nero, il grande padronato bianco si è rifiutato di firmare. A quel punto, tutte le imprese che non avevano sottoscritto l’accordo sono state investite da una nuova ondata di scioperi, accompagnata da manifestazioni chiamate «grève marchante» («scioperi camminanti»). Oggi, giorno dopo giorno, questi scioperanti stanno obbligando i rispettivi padroni a firmare. Anche questa è una delle conseguenze di lungo periodo dello sciopero generale.

Da parte di alcuni è stato sottolineato il carattere «nuovo» del movimento guadalupese, mentre a noi sembra che la «novità» abbia a che fare con forme di lotta in realtà molto classiche (sciopero a oltranza, assemblee generali, picchetti, ecc.) alle quali il padronato e la stampa non sono più abituati. È così?

Questo movimento non ha avuto un carattere «nuovo». Piuttosto, esso ha ripreso e portato avanti una tradizione operaia e rivoluzionaria che consiste nell’opporre frontalmente e in maniera coordinata tutte le forze della classe sfruttata al padronato.
Il fatto che sia stato possibile mettere in piedi un simile movimento in Guadalupa è una conseguenza dell’indebolimento e della scomparsa pressoché totale delle vecchie burocrazie sindacali! In particolare, della burocrazia stalinista che guidava la CGTG, che era in precedenza un sindacato membro della CGT francese e che pertanto, come quest’ultima, è stata diretta per anni da militanti stalinisti provenienti dal Partito Comunista Francese. Tuttavia, a partire dagli anni ’70, una serie di scissioni interne al Partito Comunista della Guadalupa, sotto la pressione di sentimenti autonomisti e anticoloniali, ha provocato un indebolimento di questa dirigenza. Un gran numero di militanti appartenenti alla CGT, reagendo alla mancanza di combattività della direzione sindacale, si è allora raggruppato all’interno di sindacati nazionalisti che hanno portato alla creazione dell’Union Générale des Travailleurs Guadeloupéens (UGTG, Unione generale dei lavoratori della Guadalupa). Qualche anno dopo, in seguito a varie difficoltà, il resto della CGTG è passato sotto il controllo di una nuova direzione, ispirata dai militanti trotskysti di Combat Ouvrier, del cui gruppo dirigente faccio parte anch’io. Di fatto, il sindacato si è risollevato, e oggi l’UGTG e la CGTG sono le due organizzazioni sindacali più importanti, sono estremamente combattive, e ciò permette ai lavoratori di esprimersi liberamente nelle loro lotte contro il padronato. Sono anni, ormai, che i lavoratori guadalupesi, non essendo più tenuti a freno da nessuna burocrazia, danno prova di un’autentica combattività in scioperi parziali o di settore.
Questi due sindacati hanno sempre auspicato la messa a punto di una piattaforma comune, in vista di una lotta di massa, riguardante la totalità delle rivendicazioni e che individuasse il proprio avversario nell’insieme del padronato. La parola d’ordine era: «insieme lotteremo, insieme vinceremo».
I sindacati hanno colto un’opportunità nel momento in cui hanno percepito la crescita di un malcontento prossimo all’esasperazione riguardo al livello del prezzo del carburante. È stato a partire da quel malcontento che essi hanno proposto a tutte le organizzazioni popolari, ai sindacati, alle organizzazioni politiche, alle associazioni culturali, alle associazioni di consumatori, di inquilini, ecc., di raggrupparsi in seno a una grande alleanza contro lo sfruttamento, l’LKP! Attualmente, tale raggruppamento è composto da 48 diverse organizzazioni.

In che misura i lavoratori mobilitatisi hanno potuto controllare e dirigere la propria lotta?
Sin dall’inizio del movimento i dirigenti dell’LKP hanno raccolto un sostegno e una fiducia indiscutibili. Nel momento in cui è poi cominciata una trattativa che ha messo uno di fronte all’altro i rappresentanti dell’LKP, guidati da Elie Domota (UGTG) e dal sottoscritto, quelli dello Stato francese, quelli della classe dirigente guadalupese e quelli del padronato, le varie fasi del negoziato sono state trasmesse in diretta televisiva e radiofonica. Tutta la popolazione ha allora, per così dire, fatto conoscenza con la direzione dell’LKP e si è riconosciuta nelle parole e nei comportamenti di Domota che denunciava il «dominio di classe e di razza».
Da quel momento in poi l’LKP ha diretto il movimento senza mai apparire, nemmeno per un momento, in contraddizione o in affanno rispetto ai sentimenti e alla volontà di lotta delle masse. L’LKP è rimasto fino alla fine la guida incontestata del movimento. L’originalità di questa direzione, data dal suo essere costituita da un enorme raggruppamento di organizzazioni, ciascuna delle quali conservava la propria specificità, permetteva inoltre ad ognuna di esse di radunare i propri sostenitori e di fare loro un resoconto di ciò che stava accadendo. In tal modo, ad esempio, la CGTG teneva quotidianamente un’assemblea aperta a tutti i lavoratori per fare il punto della situazione e discutere della linea da sostenere all’interno dell’LKP.
Di fronte alla sede dell’LKP, il Palais de la Mutualité di Pointe-à-Pitre, si teneva quotidianamente un’immensa assemblea generale che culminava la sera in un meeting in cui si faceva il punto della situazione della lotta. La direzione si faceva allora carico delle rivendicazioni e dei bisogni delle masse, ne organizzava la lotta, si sforzava di non deluderle. Ma, in tutte le fasi della protesta, è rimasta al suo posto di comando, non essendo mai stata contestata; da allora il problema di una direzione alternativa non si è più posto.
In nessun momento sono comparsi delegati o rappresentanti legittimi dei lavoratori in lotta da associare alla direzione della lotta stessa. Questa è stata, d’altro canto, una delle debolezze del movimento, perché nessuno sa quali traguardi sarebbero stati possibili se una siffatta direzione della lotta fosse stata messa in piedi, facendo da moltiplicatore dell’iniziativa di massa e arricchendola!
Eppure, ad altri livelli, i lavoratori avevano un controllo diretto di certi aspetti della lotta, ad esempio per quanto riguarda i picchetti o le barricate stradali, nel momento in cui si è deciso di fare ricorso ad esse.
Possiamo dunque affermare che la direzione dell’LKP ha agito costantemente sotto lo sguardo vigile e sotto la spinta delle masse in lotta, che essa ha fatto spazio in ogni momento ai desideri e alle aspirazioni delle masse, ma che queste ultime non hanno mai tentato di imporre dei rappresentanti usciti direttamente dalle loro fila. La direzione LKP rifletteva evidentemente il livello raggiunto dalla lotta, ed essa non è mai stata scavalcata, marginalizzata o rimessa in discussione.
Abbiamo però dovuto constatare che non è stato possibile portare ad effetto molte iniziative in realtà auspicabili a causa della ristrettezza della direzione dell’LKP, nel senso del numero oggettivamente esiguo di persone che vi hanno preso parte. Nello specifico, sarebbe stato possibile, in diversi ambiti, passare a comportamenti più offensivi, più creativi, all’atto pratico istituendo una forma di iniziativa popolare, qualcosa di simile a un «potere» popolare, indipendente dal potere ufficiale e in grado di contestarlo. Ciò si è effettivamente verificato limitatamente all’amministrazione dei bisogni della popolazione in materia di alimentazione, di approvvigionamento del carburante, di istruzione, di rapporto con la popolazione contadina, ecc. Ma perché tutto ciò venisse fatto in maniera più ampia e in tutti i settori, sarebbe stata necessaria la comparsa su larga scala di rappresentanti eletti delle masse in movimento.
L’interesse e la grande ricchezza di uno sciopero generale quale quello cui abbiamo assistito risiede per l’appunto nel fatto che esso ci consente, oggi, di comprendere in maniera più concreta quali siano i problemi di direzione e di organizzazione delle masse che si pongono nel quadro di una lotta di così ampio respiro. Si è trattato di una sorta di preparazione, di una «prova generale» prima del prossimo scontro! Ciò significa che la prossima lotta partirà già da un trampolino, rappresentato dallo sciopero di gennaio-febbraio 2009, dal quale sarà allora possibile raggiungere un livello superiore, ponendo a quel punto un altro genere di problemi al potere in carica, in particolare quello della sua legittimità!

Quando è sembrato che, dopo circa sette settimane, in particolare nel momento più alto dello scontro, verso la metà di febbraio, il confronto fosse esclusivamente fra i lavoratori e l’LKP da un lato, e il padronato e i «mamblos» (i celerini coloniali) dall’altro, l’LKP non avrebbe potuto cominciare a rimettere in questione le strutture del potere neo-coloniale (che continua a perpetuare sfruttamento e oppressione, e questo a dispetto dei cambiamenti intervenuti dopo il 1946), del potere politico borghese che sembrava virtualmente scomparso di fronte alla forza d’urto del conflitto?

Ciò è stato fatto costantemente dalle organizzazioni politiche e sindacali della Guadalupa… La lotta poteva forse spingersi al di là degli obiettivi che si era data con il programma di rivendicazioni dell’LKP? La risposta è contenuta nel corso stesso degli eventi! Non era ai dirigenti dell’LKP che toccava andare più o meno lontano; sono state le stesse masse in mobilitazione che hanno stabilito, e stabiliscono tuttora, gli obiettivi da raggiungere.
Non è una questione che si possa decidere meccanicamente dall’oggi al domani, quella di «rimettere in questione le strutture»… Di fatto, la lotta stessa ha fatto vacillare le certezze, la fiducia delle classi padronali; queste hanno visto nascere e svilupparsi una forza che non ha alcuna intenzione di rientrare nei ranghi! Oggi siamo testimoni senza dubbio dell’inizio di una lotta che si prolungherà per mesi, addirittura per anni, tramite la quale la classe lavoratrice ha ottenuto una serie di risultati ed è riuscita a conquistare posizioni morali e organizzative forti. È su queste ultime che le lotte future faranno leva, e non per «rimettere in questione le strutture del potere neo-coloniale» ma per contestarlo direttamente, per contestare il potere degli sfruttatori e dei grandi proprietari. E per mirare, puramente e semplicemente, a espropriare dalle mani di questa gente i grandi mezzi di produzione, le terre, le imprese e le banche.
Ma questa è una lotta ancora da fare!

Il conflitto che ha avuto luogo in Guadalupa e, più in generale, nelle Antille ha a che fare con una specificità locale o, al contrario, la lezione che possiamo trarne può essere ripresa dai settori più avanzati del proletariato e della gioventù che oggi vogliono che la crisi sia pagata dai padroni e non dai lavoratori e dalle classi popolari?

Certo! La lotta dei lavoratori guadalupesi può senza dubbio essere ripresa anche altrove!
In ogni suo aspetto, essa è stata una lotta di proletari, di salariati, di forze popolari e del lavoro vivo contro gli sfruttatori capitalisti, a cominciare dagli eredi dei béké schiavisti! Si tratta di una battaglia che ha preso la forma di uno sciopero generale, che tutti i proletari del mondo possono recuperare!

[1] Combat Ouvrier è un’organizzazione trotskysta antillese legata all’Unione Comunista Internazionalista (UCI), di cui fa parte Lutte Ouvrière in Francia.
[2] La prima metà degli anni Ottanta è segnata nelle colonie francesi da un forte incremento dello scontro tra forze nazionaliste da una parte e bianchi, lobby coloniali e governo dall’altra. In Guadalupa il clima si inasprisce e settori del nazionalismo radicale portano avanti azioni armate. In Nuova Caledonia si moltiplicano i tafferugli tra Kanaks (melanesiani neri) e Caldoche (bianchi). Nel gennaio del 1985 la polizia francese fredda due militanti del FLNKS (Fronte di Liberazione Nazionale Kanak Socialista), tra cui Eloi Machoro, un suo dirigente. È in questo contesto che scoppia il “caso Faisans”. Militante del MPGI (Movimento per una Guadalupa Indipendente), era stato condannato a tre anni di carcere per aver picchiato nell’ottobre del 1984 un insegnante bianco che aveva dato un calcio a un suo alunno nero. Incarcerato a Fresnes, nei pressi di Parigi, nel giugno del 1985 comincia uno sciopero della fame. Nell’isola la popolazione si identifica con “il caso Faisans” e durante la settimana tra il 22 e il 29 luglio si moltiplicano le manifestazioni e gli scontri per la sua liberazione. Di fronte al rischio di un’esplosione generalizzata, Parigi libera Faisans a fine luglio. Gli avvenimenti dell’estate 1985 costituiranno per chi ci ha partecipato un altro simbolo di lotta contro i soprusi dello Stato coloniale e razzista [NdR].

Dalle banlieue tropicali alla banlieue tout court (24/03/09)


Dalle banlieue tropicali alla banlieue tout court
Guadalupa e Martinica, una straordinaria lezione anche per l’Europa

La crisi economica internazionale che stiamo attraversando sta producendo ovunque effetti catastrofici, e il tentativo di scaricarne i costi sulle classi subalterne ha contribuito ad acutizzare le contraddizioni politiche e sociali.
I modelli che il trionfalismo neoliberista ci aveva presentato come vincenti sono stati i primi a pagare il prezzo di questo terremoto e ad andare in pezzi, come nel caso dei paesi dell’Est, a cominciare dalla Lettonia, in cui è caduto il governo dopo massicce mobilitazioni popolari che hanno dato vita a duri scontri a Riga. Ma già a dicembre la Grecia, teatro di una rivolta operaia e giovanile altamente conflittuale, ha presentato la prima risposta sociale ai contraccolpi della crisi.
A farne maggiormente le spese, del resto, sono gli anelli più deboli della catena imperialistica dell’Europa del capitale. Esempio paradigmatico ne è stato la Francia, che nei mesi scorsi, oltre a diversi scioperi di categoria (le università in particolare) e a due scioperi generali, ha vissuto una straordinaria esplosione di conflittualità nelle sue “banlieues tropicali”, in Guadalupa, Martinica e Riunione.

In Guadalupa, l’isola che ha inaugurato la stagione di proteste nei territori d’Oltremare, è stato l’aumento del carovita e, nello specifico, l’aumento dei prezzi del carburante a catalizzare il malcontento della popolazione e innescare lo sciopero cominciato il 20 gennaio. L’innalzamento dei prezzi è stata la scintilla che ha infiammato una situazione di per sé già esplosiva: una società con un elevato tasso di disoccupazione (23%, contro l’8% della Francia metropolitana), estremamente precarizzata e dilaniata da una plurisecolare dominazione razziale di retaggio coloniale.
L’LKP, il collettivo contro lo sfruttamento che ha guidato la mobilitazione per sette settimane di sciopero a oltranza, è nato dalla convergenza di diverse realtà politiche, sindacali e associative che, mettendo da parte le divisioni precedenti, hanno dato vita a un fronte unico di lotta contro Medef e governo francese.
Per un verso si è trattato di una risposta nuova. Nuova perché lo sciopero ha rotto la logica disastrosa e demoralizzante con cui le confederazioni sindacali francesi avevano gestito i conflitti degli ultimi 25 anni, anche in quei casi in cui vi erano le condizioni per sconfiggere il governo e i padroni. Nel caso della Guadalupa e della Martinica, infatti, abbiamo assistito agli scioperi “francesi” più lunghi degli ultimi 20 anni.
Per un altro verso si è trattato di una risposta classica ovvero classicamente classista, che a livello strategico ha recuperato 150 anni di lezioni di lotta del movimento operaio internazionale, combinando queste esperienze con le tradizioni secolari della lotta degli schiavi delle piantagioni caraibiche e degli operai della canna da zucchero.
L’LKP e il Collettivo del 5 febbraio in Martinica hanno guidato uno sciopero generale condotto sulla base di un programma di rivendicazioni prevalentemente classiste, portato avanti con metodi radicali attraverso picchetti, assemblee generali e, per quanto riguarda alcuni settori, attraverso il controllo parziale dell’economia.

I testi che seguono ripercorrono le tappe della lotta.
La cronologia illustra la successione rapida e in ascesa del conflitto, dalle prime manifestazioni fino alle negoziazioni e alla fine dello sciopero.
L’articolo di Immanuel Wallerstein riflette sulle specificità e sul carattere “post-coloniale” di questa protesta, che è riuscita a coniugare in maniera esemplare lotta di classe e questione razziale.
L’intervista a Jean-Marie Nomertin (con Elie Domota uno dei principali portavoce dell'LKP) racconta la genesi della lotta e la costituzione del movimento, analizzandone la portata dal punto di vista della nostra classe[1].

A fronte della vittoria dell’LKP, che è riuscito a far retrocedere il governo e la Confindustria francesi ottenendo 200 euro di aumento sui salari minimi insieme ad alcuni altri provvedimenti sociali sul fronte del carovita e dell’occupazione, rimane aperta la questione se non fosse stato possibile andare oltre; in altre parole, se il movimento aveva la forza e la possibilità di superare il carattere prevalentemente economico delle rivendicazioni, per cominciare a mettere in discussione le strutture di potere economico e politico della Francia coloniale, che tuttora mantengono in piedi un sistema di dominazione e sfruttamento.
Questo obiettivo dipendeva in parte dalla volontà politica della direzione dell’LKP e, nel caso della Martinica, del Collettivo del 5 febbraio. Ma soprattutto dipendeva dalla volontà politica delle organizzazioni sindacali francesi metropolitane, che non hanno dato alcun appoggio reale a queste lotte, mantenendole isolate. In questo senso, solo l’estendersi della lotta nella metropoli avrebbe potuto consentire di conquistare molto più di ciò che è stato ottenuto.
In questo senso, non è un caso se poco prima del secondo sciopero generale, a metà marzo, la presidente del Medef (la Confindustria francese), interrogata sull'LKP della Guadalupa, «un'organizzazione gauchista molto politicizzata che ha fatto ricorso all'arma delle pressioni senza problemi», aveva reso omaggio ai «sindacati della Francia metropolitana, altrimenti costruttivi e responsabili». È in Guadalupa, una vasta “banlieue tropicale” a settemila chilometri da Parigi, che il governo ha trovato ultimamente maggior filo da torcere. Se ci riferiamo alle lotte più eclatanti di queste ultime settimane nella Francia metropolitana, nel caso degli scioperi selvaggi portati avanti al di fuori dello stretto controllo della burocrazia sindacale alle Poste, in particolare nelle periferie Ovest e Sud di Parigi, a quelle università di periferia più mobilitate, alle lotte della Continental (gomme), della Stpm (telai per auto), è nella grande banlieue di Parigi che il conflitto comincia a farsi più duro. Quel che temeva Sarkozy durante la rivolta delle banlieues del 2005 era che le esplosioni urbane potessero combinarsi con la febbre nelle università. All'epoca gli studenti sono entrati in scena sei mesi dopo, con il movimento anti-Cpe. Oggi anche i lavoratori sono in piazza. Ragione di più, per il Medef, di chiedere ai sindacati di essere responsabili. Ragione di più, per noi, di essere responsabili e di seguire l'esempio della Guadalupa anche in Italia.

Roma, 24/03/09.

[1] Ringraziamo le compagne e i compagni che hanno collaborato alla traduzione di questi testi, in particolare LC, JM e MZ.

29.3.09

Manifestazione G-14 (28/03/09)


Anche in Italia la crisi potrebbe costringere alla lotta settori sempre più ampi di lavoratori
E’ necessario un salto di qualità anche da parte del sindacalismo di base

Alle compagne e ai compagni della manifestazione del 28 marzo


Gli effetti politici e sociali della crisi sono appena all’inizio. Anche i borghesi fanno paragoni con quella del '29, ammettono che è in pieno corso, che non se ne vede la fine e che i suoi effetti politici e sociali sono appena incominciati.
Acutizzando le contraddizioni economiche, politiche e ovviamente sociali questa crisi – è sotto gli occhi di tutti – sta “costringendo” i lavoratori e i settori popolari di tutti i paesi a scendere in campo. Si susseguono, uno dopo l’altro, esempi “eclatanti”: la rivolta operaia e giovanile di Grecia, la Lettonia, in cui è caduto il governo dopo massicce mobilitazioni popolari con duri scontri a Riga, l’Irlanda, in cui i sindacati concertativi sono stati addirittura costretti a chiamare la mobilitazione per i pesanti tagli salariali al settore pubblico. Si prova a liquidare questi fatti come possibili solo dentro gli “anelli deboli” dell’Europa del capitale.
Ma non è così: è il cuore stesso del capitale ad esserne investito, con effetti sempre più dirompenti nell'immediato futuro. Si è appena chiusa con risultati importanti (vedi riquadro sul retro) la lotta straordinaria delle Antille francesi (Guadalupa in testa), dove per oltre due mesi lavoratori e settori popolari si sono scontrati con il Medef (Confindustria) e il Governo Sarkozy, rispolverando le vecchie ma sempre attuali ed efficaci armi della lotta di classe; mentre la Francia “continentale” veniva squassata da scioperi prolungati (otto settimane di sciopero all'università), scioperi generali e vertenze durissime: due casi hanno già guadagnato la ribalta internazionale perché gli operai, di fronte all’annuncio dei licenziamenti, si sono barricati sequestrando il manager di turno.

Anche in Italia la crisi sta mettendo in moto settori di classe. Dalla lotta coraggiosa dei lavoratori Alitalia (che hanno rischiato in prima persona) che, invece di essere presa come occasione per costruire un fronte trasversale alle categorie, è stata assurdamente lasciata isolata e abbandonata a se stessa; alla lotta dei settori studenteschi e della scuola contro i tagli, a quella dei lavoratori di Pomigliano, dei lavoratori delle cooperative DHL (Origgio), dell’INSE di Milano, e a tante altre.
È chiaro che, nel complesso, si è trattato di episodi diffusi e spontanei che non sono finora riusciti a scavarsi un percorso verso la propria unificazione in una lotta generale, di classe contro classe, in quanto tale capace di rimettere in discussione i rapporti di forza complessivi tra lavoratori e padronato. Ma non si può non registrare che una tendenza alla crescita della conflittualità sociale esiste, è operante e inevitabile, “aggravata” dal fatto che, tra i paesi forti d’Europa, l’Italia è uno di quelli più a rischio. Il suo equilibrio economico (a cominciare dal sistema bancario) desta nelle élite della borghesia internazionale la massima preoccupazione, a dispetto delle rassicurazioni di Berlusconi che continua a riproporre lo stesso quadretto tutto sommato confortante.

Nell'immediato futuro, anche in Italia si potrebbe prevedere la moltiplicazione delle lotte per numero e intensità, ma questo non significa affatto che automaticamente troveranno la strada verso la loro riunificazione; e neanche (più modestamente) che automaticamente un numero maggiore di lavoratori, romperanno finalmente con i metodi concertativi della burocrazia confederale.
Inoltre va sottolineato che è sempre possibile che il disagio diffuso – o parte di esso – vada verso derive populiste di “destra”, fenomeno che peraltro è già in atto.
Ma il punto che qui ci preme porre alla riflessione sta nel fatto che molto dipende dalla capacità politica delle forze rivoluzionarie e/o di classe, che operano sul piano politico e/o sindacale:

1. capacità di individuare e porre di fronte alle lotte degli obiettivi in grado di far avanzare la classe nel suo complesso, l’insieme dei lavoratori; 2. grazie a questo, capacità di essere riconosciuti come punto di riferimento da parte di settori significativi (per numero e per combattività) di lavoratori.

Molti dei nostri (pochi) compagni hanno lavorato e lavorano all'interno delle organizzazioni del “sindacalismo di base”, che sappiamo benissimo essere un insieme di forze eterogeneo. Proprio per questo sentiamo la necessità di porre con chiarezza alcune questioni politiche.
Per fare sì che le lotte prendano la direzione giusta, dobbiamo contrastare l’egemonia e l’influenza della borghesia sulla nostra classe; dobbiamo strappare settori sempre più ampi di lavoratori a questa influenza, esercitata attraverso i partiti borghesi e le organizzazioni sindacali concertative.
Come? Secondo noi la situazione impone un salto di qualità.
Crediamo di poter dire che non è più il tempo (se mai lo è stato) di avere come obiettivo quello di fare qualche decina all’anno di tessere sindacali in più, magari strappandole ai confederali.
Dobbiamo ricostruire un fronte unitario di lavoratori sufficientemente ampio da poter rimettere in discussione il rapporto di forze.

Non è più tempo di proporre ai lavoratori di fare scioperi rituali una volta ogni due mesi, come se si trattasse di andare a messa la domenica. Bisogna incominciare a porre il problema della efficacia delle forme di lotta. Bisogna incominciare, nelle occasioni ove è possibile, a porre la questione che gli scioperi devono essere reali e non rituali, devono durare quanto serve per fare male al padrone. E questa questione deve essere posta e discussa anzitutto a cominciare dagli scioperi che proclamiamo noi. Anche le forme di lotta proposte possono e devono essere uno spartiacque che divide chi vuole risultati da chi si nasconde dietro parole roboanti. Padroni e Governo si stanno già attrezzando per stroncare sul nascere fenomeni di insubordinazione operaia (criminalizzazione del movimento e delle lotte più radicali, campagne istituzionali razziste e xenofobe, ecc.).
Non è più tempo di giustificare i propri errori con la scusa che i lavoratori non capiscono e non si muovono e che è tutta colpa loro. Bisogna riacquistare la capacità di rimettere in discussione le proprie scelte, di fare autocritica nei molti casi in cui, per usare un eufemismo, qualcosa “non ha funzionato”: tanto per fare un esempio, oltre all’Alitalia, citiamo la questione delle scelte (a cominciare dalla tempistica) in merito agli scioperi contro il protocollo Damiano; ma l’elenco potrebbe continuare...

Contrastare l’egemonia della CGIL non significa affatto far finta che non esista o risolvere il problema con la cronaca delle loro malefatte, ripetuta e illustrata in 1000 volantini. I lavoratori – la massa – impara più attraverso l’esperienza collettiva acquisita durante la lotta che attraverso questi 1000 volantini pieni di belle parole. Bisogna affrontare il problema di rivolgerci a tutti i lavoratori, anche a quelli degli altri sindacati, di rivolgerci alle lotte, anche quando sono dirette dalla burocrazia confederale, di parlare a tutti i lavoratori che si mobilitano, anche a quelli che restano sotto l’ombrello o l’orizzonte confederale. Bisogna porsi l’obiettivo di guadagnare la direzione di queste mobilitazioni, stando all'interno delle vertenze che nascono nei posti di lavoro.
È proprio chi preferisce starsene rinchiuso nel proprio cantuccio, magari per paura di sporcarsi le mani, senza confrontarsi e scontrarsi con la direzione della CGIL che, in fin dei conti, fa un favore a Epifani.

In poche parole, bisogna lavorare per un fronte unitario e trasversale di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla loro tessera sindacale; e, quindi, riproporre il problema delle forme di organizzazione delle lotte, le quali, se devono essere unitarie e trasversali, non possono che essere forme di organizzazione assembleare, dove sono i lavoratori di ogni posto di lavoro a prendere le decisioni rispetto agli obiettivi e alla organizzazione.

SE LA CRISI VOGLIAMO FARLA PAGARE AI PADRONI DOBBIAMO REIMPARARE A COSTRUIRE FRONTI UNITARI DI LOTTA E A FARE LOTTE DURE, DECISE E DURATURE



Collettivo Comunista di via Efeso (Roma), 28/03/09




Sciopero in Guadalupa e in Martinica

Oltre 50 giorni di sciopero a oltranza fanno retrocedere Governo e Confindustria francesi

Guadalupa e Martinica, colonie dello Stato francese, ufficialmente “territori d’oltremare”.

I lavoratori antillesi hanno ricordato a chi lo avesse dimenticato che cos’è una vera lotta.
Obiettivi e forme di lotta decisi in assemblee generali sui posti di lavoro e sul territorio. Picchetti volanti di scioperanti, blocchi stradali, paralisi della produzione e del commercio. Controllo dei lavoratori sulla distribuzione. Operai della canna da zucchero a fianco dei giovani e degli studenti medi e universitari. Manifestazioni massicce per rafforzare il consenso della popolazione. Resistenza a fronte dei tentativi repressivi della polizia francese. Organizzazione dei lavoratori e degli studenti attraverso due potenti coordinamenti di organizzazioni sindacali e politiche: l’LKP (Lyannaj Kont Pwofitasyon, Coordinamento Contro lo Sfruttamento) in Guadalupa e il Collettivo del 5 Febbraio in Martinica.

Entrambe le lotte hanno ottenuto, tra le altre rivendicazioni, 200 euro d’aumento salariale, misure contro il carovita, la precarietà e la discriminazione razziale. Questi risultati non significano di sicuro un ribaltamento del rapporto di forze ma certamente rappresentano una netta sconfitta politica per la Confindustria e il Governo francesi.

Assemblea pubblica a Economia-La Sapienza (via Castro Laurenziano)
aula VIb, martedì 31 marzo - ore 17

Ne parliamo con Jean-Marie Nomertin, dirigente della CGTG e portavoce dell’LKP, in diretta dalla Guadalupa, Piero Bernocchi (Conf. Cobas), Geraldina Colotti (Il Manifesto).